Non siamo la “terra dei cachi” mirabilmente cantata da Elio e le Storie Tese, ma siamo la terra dei bonus. Bonus facciate, bonus benzina, bonus psicologo, bonus trasporti e chi più ne ha più ne metta.
Ma a che servono?
Giudicando superficialmente servono per tamponare emergenze economiche che mettono a rischio la sopravvivenza delle famiglie medie. Infatti si tratta di provvedimenti quasi tutti a tempo che “mettono soldi nella tasca degli italiani”, congiuntamente ad altre misure fiscali che sgravano le famiglie di quote assolutamente trascurabili (meno di un caffè al giorno) dei tributi. Guardando più a fondo, viene il dubbio che, in realtà, servano a sostenere i consumi che garantiscono la sopravvivenza di un sistema al limite del crollo. Infatti, se le famiglie con redditi bassi smettessero di consumare, probabilmente si verificherebbe un catastrofico crollo della società dei consumi, con connesso crollo della produzione e di tutto il sistema. Il problema, quindi, è quello di mantenere le famiglie italiane ad un livello di reddito limite sufficiente per consumare e mantenere il sistema produttivo che rifornisce i consumi. In più, si tratta di misure a tempo limitato (massimo un anno), ciò che permette di monitorare annualmente la situazione ed adattare la concessione dei prossimi bonus all’andamento del mercato e della situazione socio-economica.
Ma il bonus ha anche altri vantaggi di tipo politico. Il primo è permettere a chi governa di ripeterci continuamente che le misure rispondono al nobile intento di proteggere gli italiani dalla miseria incalzante. Poco importa se, contestualmente, si riducono i servizi pubblici a livelli di pura inefficiente sopravvivenza, così che se si ha veramente bisogno del servizio pubblico, occorre ricorrere al privato che costa molto di più. Importa strombazzare che si sono ridotte le tasse, che si va incontro ai bisogni degli italiani soccorrendoli con donazioni ed elargizioni simili alle regalie che facevano gli imperatori romani quando vedevano calare la loro popolarità.
Ma c’è un vantaggio ancora meno visibile, non perdere tempo a progettare riforme strutturali che rischiano di richiedere più tempo e di apparire magari impopolari, almeno all’inizio.
Il ruolo di un governo veramente politico, come quello attuale dichiara di essere, dovrebbe concentrarsi su una ristrutturazione della società che permetta la sconfitta della povertà non con donazioni, ma con la giustizia sociale.
Capisco che mediare tra una classe imprenditoriale che vorrebbe poter disporre dei propri dipendenti a piacimento secondo l’andamento di un mercato che quella classe stessa non è capace di anticipare e governare, e una massa di classi subalterne e, soprattutto, di giovani che vorrebbero vedersi offrire lavoro dignitosamente pagato tanto da permettere di fare piani sul futuro.
Ma questo tipo di mediazione è esattamente quello che dovrebbe fare la buona politica.
Elaborare ed attuare modelli sociali che riportino al centro il lavoro retribuito giustamente, che proteggano il lavoratore, pur senza danneggiare l’imprenditoria, favorire le iniziative dal basso (cooperative), questi dovrebbero essere gli obiettivi da perseguire.
Rovesciare le priorità, aumentare le misure in favore dell’innovazione e della produzione dei beni primari. Queste dovrebbero essere le priorità.
Non sono un economista e, anche se qualche idea ce l’ho, vorrei che degli economisti e degli aziendalisti riflettessero su questo e formulassero dei modelli nuovi.
Ma si sa: il bonus, l’elargizione, la regalia pagano di più dal punto di vista elettorale.
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